FRANCO MAURO FRANCHI, IL MIO MAESTRO

FRANCO MAURO FRANCHI, IL MIO MAESTRO

Il Maestro è uno soltanto e lo è per sempre,
nel senso che rimane “Il Maestro” anche dopo l’insegnamento diretto,
anche quando non lo vedi molto, non ci parli spesso,
lo senti attraverso poche telefonate all’anno e rarissimi incontri.
Però lo immagini sempre al lavoro, ovvero nell’unico luogo in cui è veramente felice e totalmente se stesso.

Quello con il Maestro è l’incontro che ti cambia la vita.

Nasci a Roma (o in una città qualsiasi),
ma rinasci grazie al tuo Maestro perché ti ha fatto comprendere che è e sarà il lavoro a donare senso alla tua vita.
Il lavoro crea un benessere psicofisico che poi si cerca di continuare e ripetere il più possibile.
Lavoro che per uno scultore equivale a dare vita alle forme,
entrare in un flusso simile a quello di un campo coltivato che germina a oltranza.

Franco Mauro Franchi è il luogo in cui sono rinato.
Il mio Maestro, individuato anche per la generosità di condividere il fare scultura con tutti i suoi allievi.
Per lui eravamo le presenze a cui restituire sia gli insegnamenti avuti dai suoi di maestri (Vitaliano De Angelis e il mitico Oscar Gallo), sia quelli nati dal suo fare, dalla sua esperienza e conoscenza infinita di scultore.
A 19 anni sono rinato con il Franchi e oggi, a 55, continuo a pensare alla fortuna che ho avuto in tutti questi anni.
Era e sarà presente sempre nei gesti della mia ricerca che considero anche un’eco del suo modo di fare arte.

Seguono due piccoli frammenti scritti, fatti in periodi diversi.

Il primo è tratto da un breve intervento sulla scultura che ho condiviso con gli allievi del professor Roberto Cresti con cui mi aveva invitato a parlare qualche anno fa.

Il secondo risale a circa 25 anni fa ed è una riflessione sulla scultura di Franchi, pensieri che ho avuto modo di leggergli e che lo fecero sorridere perché si ritrovava nelle mie parole.

TOGLIENDO IL SUPERFLUO, METTENDO IL NECESSARIO
(…) In passato si associava il nome di un artista al suo luogo di provenienza e da questo se ne intuivano la caratteristiche.
Se era veneto, veronese o veneziano, era spesso un pittore dai colori brillanti.
Se lombardo era un artista molto legato alla realtà, con un particolare modo di usare la luce e un verismo che non ammetteva voli pindarici.
Se era toscano probabilmente era uno scultore, ma se invece era pittore di sicuro il disegno era una presenza predominante nella sua opera.
Oggi tutto questo non esiste più, viviamo in un mondo globale che a volte sembra essere un grande non-luogo.
Allora per me diventa importante dire il nome del mio Maestro,
nel mio curriculum o nella mia biografia, per comunicare con quel nome la mia origine, un certo tipo di pensiero e di scuola di provenienza: la scuola di Franco Mauro Franchi, che ha come caratteristica un grande entusiasmo nel dare vita alle forme: la fiducia nella scultura come qualcosa in grado di darti senso, di connotarti.
La scultura che diventa una bussola con cui orientarti nella tua esistenza.
Roberto Cresti c’era, era parte di quella età dell’oro, di quella concezione naturale di scultura legata al fare, alla modellazione e (mi ripeto) al dare vita alle forme. (…)

LA VERDE ISOLA E L’ISOLA CHE NON C’È
“Il mio sogno è un’arte di equilibrio, di purezza, di tranquillità senza soggetti inquietanti e preoccupanti, un’arte che sia per ogni uomo che lavora di cervello, per l’uomo di affari come per il letterato, un lenimento, un calmante celebrale, qualcosa di simile a una buona poltrona che lo riposi dalle sue fatiche fisiche”.
Queste parole di Matisse sul proprio lavoro si possono accostare, credo, anche al lavoro di Franchi sostituendo “buona poltrona” con “verde isola”. Isola dove per primo è il Franchi a riposare dalle fatiche di tutto quello che non è il fare scultura. Ho avuto modo di vedere nascere dal nulla alcune sue opere, lievitare l’armatura fino ai contorni finali in creta, passare dal negativo in gesso alla resina, al bronzo.
Ho visto un lavoro enorme, fatto da uno solo, Franchi,
che sente tutte queste tappe di passaggio come la naturale crescita di una scultura.
Se le vive e segue in prima persona è perché partecipano tutte di quella vita delle forme di cui ogni scultore dovrebbe sentirsi responsabile.
Quasi un pegno che lo scultore deve pagare per fare sua l’opera, la “verde isola” nel caso di Franchi.
Considero le sue sculture una metamorfosi alla rovescio.
Se è vero che lo sguardo della Gorgone pietrifica e rende sale l’uomo; che Apollo toccando Dafne la muta in albero e che in entrambi i casi assistiamo al passaggio di un essere umano in qualcosa statico, al contrario le sculture di Franchi erano paesaggio, erano scogli o isole che guardate e toccate da Franco si sono mutate in donne sulla cui pelle il mare ha lasciato la sua impronta.
So che uno scritto deve essere breve per invogliare a essere letto. Mi limito ad aggiungere soltanto che il Franchi è un Maestro, il mio Maestro. Maestro che non genera belle brutte-copie di sé,
che non manipola anime, ma che ti porta a scoprire “l’isola che non c’è”, che al contrario c’è, anzi sono due e hanno otto piccoli golfi:
le nostre mani.
Ti fa credere in loro perché non sono lì per galleggiare isolate dal mondo e dal resto del corpo.
Dietro di loro c’è l’artista che le sa muovere, c’è un’anima che non ama parole, ma gesti e non vuole ogni volta spiegarsi tutto perché ama il mistero dell’arte e rispetta le paure.
Grazie Franco.
Anzi ancora due righe, credo che a nessuno dei sui allievi sia mai importato superare il Maestro, ma trovarlo, riconoscerlo.

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