MARIO BOTTA

Tratto dal catalogo della mostra PAOLO DELLE MONACHE SCULTURE  –  ANDREA MICHELI FOTOGRAFIE, Ceribelli editore, 2018in occasione della mostra alla Galleria Ceribelli, Bergamo 

LE SCULTURE DI PAOLO DELLE MONACHE 

Le sculture di Paolo Delle Monache si presentano come opere di dialogo fra gli “inserti” – le parti trattate come figure a tutto tondo che fanno riferimento all’uomo (una testa, un volto, una mano o altre membra) – e la composizione scenica del paesaggio e dell’habitat che configurano la città dell’uomo, trattate come collages bidimensionali.
È nel confronto fra l’uomo e lo spazio che riconosciamo il rovello dell’artista. Che si avvale di un doppio linguaggio per esprimere le distinte parti delle opere, quelle che richiamano l’uomo e quelle invece riferite al contesto. L’autore riesce a far convivere differenti registri espressivi ed è dall’intensità del confronto fra le due parti che deriva l’interesse di questa ricerca. Fragili frammenti traforati di sapore “post-moderno” (archi e timpani, colonne e finestre ritmate) riassumono l’universo architettonico e vengono usati quasi come “caricature” di una stagione costruita non particolarmente felice e che invece lo scultore fa apparire più convincente di quanto non siano riusciti a fare gli architetti: migliore è la libertà compositiva, più ampia l’invenzione del rapporto fra i pieni e i vuoti, più suggestiva l’evocazione della complessità urbana attraverso il ripetersi dei moduli architettonici. Di questi collages bidimensionali, frammenti ridotti a sagome senza alcuna profondità volumetrica né spaziale, sembra che l’autore ricomponga profili di memorie già lontane dall’attualità inconsistente nella quale sono nate.
La fragilità del nostro tempo ne ha accelerato l’oblio e del paesaggio umano risuona unicamente un’eco nostalgica.

La forza evocativa di questo stato di precarietà vive soprattutto grazie agli inserti di brani che testimoniano la presenza dell’uomo.

La nostra contemporaneità è ridotta a scenografia teatrale dove il nuovo paesaggio urbano lascia spazio ad una memoria ancestrale che riscopriamo inattesa nei silenzi inquietanti dei volti o nelle vibrazioni delle mani, che restano ancora i segni di riferimento attendibili per l’osservatore. Nell’opera di Paolo Delle Monache incontriamo le sagome e i frammenti di una condizione che ci accompagna nella nostra quotidianità.

Tuttavia, avvolto da una struggente malinconia, possiamo riconoscere un territorio di memoria che ci appartiene come patrimonio di valori collettivi al di là delle contingenze e nel quale riusciamo ancora ad identificarci.

Gennaio 2018