Robert Rosenblum

Tratto dal catalogo PAOLO DELLE MONACHE, OPERE DAL 1993 AL 2003, in occasione delle personali presso le sedi della Locat Leasing di Bologna, Milano, Verona

PAOLO DELLE MONACHE

Per molti artisti al lavoro oggi, l’alba energetica del 20° secolo si è convertita in un nostalgico crepuscolo. Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, giovani artisti ribelli si avviarono a distruggere il passato, per esplorare un futuro sconosciuto che potesse abbracciare le moderne forze tecnologiche, immaginare utopie socialiste, creare linguaggi visivi totalmente originali che corrispondessero ai loro sogni di un nuovo mondo differente. Dall’ anno 2000, questa direzione ottimistica è stata invertita. Piuttosto che inventare mondi non familiari, gli artisti hanno scelto spesso di tornare all’ampio vuoto storico che i pionieri dell’arte del 20°secolo avevano lasciato nel loro percorso rivoluzionario. L’inclinazione alla retrospezione, all’apprezzamento del passato piuttosto che alla considerazione di esso come un fardello moribondo, è stata contagiosa. Gli artisti di tutto il globo hanno guardato indietro ai giganti oramai da museo quali Matisse e Picasso, Kandisky e Mondrian come se fossero vecchi maestri che vivevano in una remota Età dell’Oro. Inoltre, hanno riconsiderato luoghi della storia più distanti, scavando nella memoria di tutto ciò che dalla scultura classica al Rinascimento e all’arte Barocca viene preservato come reliquia nei musei contemporanei.
Delle Monache, nato nel 1969, è uno di questi, un giovane artista che guarda indietro, non in avanti, nella storia dell’arte e il cui lavoro è immerso in una disposizione sia retrospettiva che introspettiva, che obnubila il senso del nostro modo di vivere nel presente. In molti modi l’aura del suo lavoro rianima il mondo Simbolista dell’arte del tardo 19° secolo in cui le figure dipinte o scolpite possono ipnotizzare l’osservatore nel condividere una fantasia da sogno. Con gli occhi chiusi (il titolo, non a caso di una pittura alla quintessenza simbolista di Odillon Redon, una testa portata dal vento attraverso un cielo visionario) e anche con gli occhi aperti, questa strana tribù di solitari erranti ha da tanto tempo lasciato il nostro mondo terreno. Qui, le leggi della gravità sono annullate, permettendo ai corpi umani di fluttuare in spazi immaginari, e memorie di leggende e civiltà distanti fluttuano come resti di un passato irrecuperabile.
Tali liberazioni dai fatti fisici della realtà sono, naturalmente, più facili da raggiungere in pittura che in scultura; ed è un tributo alle capacità tecniche e immaginative di Delle Monache se nel suo lavoro le realtà corporali del bronzo e della vetroresina sembrano svanire davanti ai nostri occhi. In alcune di queste sculture, precarie acrobazie anatomiche spogliano i corpi dei loro tronchi e colli, lasciando soltanto gli arti e le teste ad evocare ciò che prima era una forma umana completa di carne e muscolo. Queste parti smembrate, simili a immagini residue prive di peso, volteggiano silenziosamente davanti a noi conducendoci a viaggi immaginari in un mondo meditativo, quietamente ermetico, evocando, allo stesso tempo, anche la lunga storia della scultura come se ne è fatto esperienza sulla penisola Italiana sia prima che dopo Cristo.
Le figure di Delle Monache non sono mai intere, soltanto frammenti – teste senza colli, braccia senza spalle, gambe senza fianchi. E anche quando lavora in due dimensioni, offre soltanto indizi anatomici di presenze umane una volta complete, ma ora invisibili – nell’ impronta incorporale di una mano, un piede, un pollice illuminato dal neon in uno spazio cosmico. Specialmente sul terreno italiano, le memorie più profonde evocate da questo linguaggio di frammenti vengono, naturalmente, dall’antichità, la cui arte e civiltà conosciamo e veneriamo primariamente attraverso le parti sopravvissute nelle pitture murali danneggiate di Pompei, nella ossatura incompleta del Colosseo o negli innumerevoli marmi di dei e dee che, anche se i loro arti possono essere stati amputati dal tempo, continuano a incantare. È indicativo che per gli scultori moderni il mistero dei frammenti corporei, di cui si è venuti a conoscenza attraverso ciò che la storia ci ha lasciato della scultura greca e romana, sia diventato una fonte di fresca ispirazione nel tardo 19° secolo, in maniera maggiormente cospicua nel lavoro di Rodin, il quale era capace di creare marmi e bronzi soltanto da un tronco, da una testa, da una mano, lasciando gli osservatori a completare questa visione parziale nelle loro immaginazioni. Era una direzione nella scultura moderna che è stata particolarmente fruttuosa in Italia, dove le infinite reliquie del passato classico sono state una parte integrale dell’ambiente visivo. Forse particolarmente rivelante per Delle Monache è Medardo Rosso (nato nel 1858) il cui lavoro spesso prosegue il fascino di Rodin per i frammenti anatomici. Rosso, in effetti, ha esteso molto più avanti le potenzialità di una testa liberata dal corpo (un tema Simbolista favorito) per immetterci in territori misteriosi. Velate e smaterializzate dalla luce dell’ambiente, le teste di Rosso, anche se con i loro occhi completamente aperti, nascondono i loro segreti dileguandosi in esperienze interiori che possiamo solo intuire. In Italia questa inclinazione di spirito di conquista della sostanza è continuata anche nel lavoro di Adolfo Wildt (nato nel 1868), che poteva addirittura penetrare nella carne dura, fredda del marmo levigato, il suo mezzo preferito, e toccare regni più correlati alla esperienza religiosa che alla vita moderna. Egli era anche costantemente attratto dalle figure anatomiche che nel contesto del suo lavoro evocano, come le teste di Delle Monache, l’immagine di sopravvissuti solitari in un mondo ostile. È stata una tradizione che è continuata, infatti, oltre la metà del secolo, forse meglio esemplificata nel lavoro dello scultore cosmopolita Igor Mitoraj (nato nel 1944) che ha trovato prevedibilmente la sua casa spirituale in Italia lavorando nelle cave di Pietrasanta. Usando i materiali primari della scultura antica, bronzo e marmo, anch’ egli resusciterebbe i frammenti umani dell’antichità mitica, presentando deità e imperatori privi di arti, o teste così devastate dal tempo di cui soltanto rimangono bocca o occhi su un viso frantumato. Tale inclinazione è ulteriormente enfatizzata dal modo in cui Mitoraj spesso avvolge i corpi e le teste delle sue sculture con nastri di stoffa, a volte nascondendo i loro occhi e i loro volti, come se ci confrontassimo con mummie preservate da un altro millennio.
L’universo di sogni e memorie di Delle Monache appartiene a questo lignaggio scultoreo. In particolare le teste dormienti, liberate dal corpo, scatenano un’ infinita gamma di associazioni i cui strati vanno in profondità. Spesso le loro superfici appaiono nascoste, avvolte da bendaggi di velluto o, in un caso, da un paio di blue jeans che aggiunge a queste pillole di tempo, portando la musa della storia a un incontro con un frammento archeologico raccolto dal mondo in cui ci capita di vivere oggi. La fluidità allusiva di questi lavori raggiunge un particolare punto alto nella ricreazione di Delle Monache del mito di Daphne, in cui una singola testa, sostenuta da un’ unica gamba e un unico braccio perpendicolari, si libra tra le strutture verticali di entrambi gli esseri umani e alberi. Di nuovo qui, la magia metamorfica dei sogni è invocata così come la memoria del racconto classico di Ovidio. Forse è Delle Monache stesso che ha definito la sua propria arte più semplicemente attraverso alcuni dei suoi titoli favoriti: Mnemosine, Crepuscolo, Sogno. Tutte queste sono parole che parlano per molti artisti di oggi che, alla fine dell’ultimo millennio, cercano di catturare le elusive presenze del nostro passato.


PAOLO DELLE MONACHE

For many artists working today, the energetic dawn of the 20th century turned into a nostalgic twilight. On the eve of the First World War, rebellious young artists set out to destroy the past, to explore an unknown future that could embrace modern technological forces, envision socialist utopias, create totally original visual languages that would correspond to their dreams of a different, new-born world. By the year 2000, this optimistic direction was reversed. Rather than inventing unfamiliar worlds, artists often chose to return to the huge historical void the pioneers of 20th-century art had left in their revolutionary trail. The mood of retrospection, of treasuring the past rather than thinking of it as a moribund burden, was contagious. Artists all over the globe looked back to the now museum-worthy giants of 20th-century art – Matisse and Picasso, Kandinsky and Mondrian – as if they were old masters who lived in a remote Golden Age. Moreover, they also reconsidered more distant reaches of history, excavating memories of everything from classical sculpture to the Renaissance and Baroque art preserved as relics in contemporary museums. Delle Monache, born in 1969, is one of these, a young artist who looks backwards, not forwards, in the history of art and whose work is immersed in a mood, both retrospective and introspective, that blurs our sense of living in the present tense. In many ways, the aura of his work revives the Symbolist world of late 19th-century art, in which painted or sculpted figures can hypnotize the viewer into sharing a dreamlike fantasy. With eyes closed (the title, by the way, of a quintessentially Symbolist painting by Odilon Redon, a head wafting through a visionary sky) and even with eyes opened, this strange tribe of lonely wanderers has long ago left our earthbound world. Here, the laws of gravity are repealed, permitting human bodies to float in imaginary spaces, and memories of distant legends and civilizations float about like precious remnants from an irretrievable past. Such liberations from the physical facts of reality are, of course, easier to achieve in painting than in sculpture; and it is a tribute to Delle Monache’s technical and imaginative powers that, in his work, the corporeal realities of bronze or vitreous resin, seem to vanish before our eyes. In some of these sculptures, precarious anatomical acrobatics strip bodies of their torsos and necks, leaving only limbs and heads to conjure up what was once a complete human form of flesh and muscle. These dismembered parts, like weightless after-images, hover silently before us, taking us on imaginary voyages into a quietly sealed, meditative world, while also evoking the long history of sculpture as experienced on the Italian peninsula, both B.C. and A.D.

Delle Monache’s figures are never wholes, only fragments – heads without necks, arms without shoulders, legs without hips. And even when he works in two dimensions, he offers only anatomical clues to once complete, but now invisible human presences – the incorporeal print of a hand, a foot, or a thumb lit by neon in a cosmic space. Especially on Italian soil, the deepest memories conjured up by this language of fragments come, of course, from antiquity, whose art and civilization we know and venerate primarily through surviving parts, whether in the damaged wall-paintings of Pompeii, the incomplete shell of the Colosseum, or the countless marbles of gods and goddesses who, even though their limbs may have been amputated by time, continue to cast their spell. It is telling that, for modern sculptors, the mystery of body fragments, as known through what history has left us of Greek and Roman sculpture, would become a source of fresh inspiration in the late 19th century, most conspicuously in the work of Rodin, who could create marbles and bronzes from only a torso, a head, a hand, leaving viewers to complete this partial vision in their imaginations. It was a direction in modern sculpture that was particularly fruitful in Italy, where infinite relics of the classical past were an integral part of the visual environment. Perhaps most relevant to Delle Monache is Medardo Rosso (born 1858), whose own work so often pursued Rodin’s fascination with anatomical fragments. Rosso, in fact, extended much further the power of a disembodied head (a favorite Symbolist theme) to waft us into mysterious territories. Veiled and dematerialized by the ambient light, Rosso’s heads, even with their eyes fully open, hide their secrets, vanishing into interior experiences we can only intuit. In Italy, this mood of spirit conquering substance continued as well in the work of Adolfo Wildt (born 1868), who could even penetrate the hard, cold flesh of polished marble, his preferred medium, and touch realms more related to religious experience than to modern life. He, too, was constantly attracted to anatomical fragments, which, in the context of his work, evoke, like Delle Monache’s heads, the image of lonely survivors in a hostile world. It was a tradition that continued, in fact, past the mid-century, perhaps best exemplified in the work of the cosmopolitan sculptor Igor Mitoraj (born 1944), who predictably found his spiritual home in Italy, working in the quarries at Pietrasanta. Using the primary materials of antique sculpture, bronze and marble, he too would resurrect the human fragments of a mythical antiquity, presenting limbless deities and emperors, or heads so ravaged by time that only mouths or eyes remain on a shattered face. Such weathering is further emphasized by the way Mitoraj often wraps the bodies and heads of his sculptures with ribbons of cloth, at times concealing their eyes and faces, as if we were confronted with mummies miraculously preserved from another millennium. Delle Monache’s universe of dreams and memories belongs to this rich sculptural lineage.The sleeping, disembodied heads, in particular, unleash an infinite range of associations, whose layers go deep. Often, their surfaces seem concealed, veiled by velvet bandages or, in one case, by a pair of blue jeans that adds to these time capsules, bringing the muse of history into an encounter with an archaeological fragment culled from the world we happen to live in today. The allusive fluidity of these works reaches a particularly high point in Delle Monache’s recreation of the myth of Daphne, in which a single head supported by a single, upright leg and a single upright arm hovers between the vertical structures of both human beings and trees. Here again, the metamorphic magic of dreams is invoked, as well the memory of Ovid’s classic tale. Perhaps it is Delle Monache himself who has defined his own art most simply through some of his favorite titles: Mnemosine, Crepuscolo, Sogno. These are all words that speak for many artists today who, at the close of the last millennium, try to capture the elusive ghosts of our past.